Ci siamo incontrati in Ipirá per motivi logistici, perché la sera prima, pe.Marco e pe.Luis sono stati in Salvador per partecipare a una delle serate del triduo in preparazione alla commemorazione della morte di padre Luis Lidner assasinato 10 anni fá davanti alla porta di casa; é stata una opportunitá di incontrare anche pe.Lucas e pe.Paolo di Firenze, un padre comboniano del Ceará e anche Soave che era giá li dal giorno prima. C’é stato il tempo per visitare la Casa do Sol e de vedere alcuni dei giovani che stanno lavorando e accompagnando il progetto, insiema com Pina, spalla di pe.Luis fin dall’inizio della Casa do Sol. Come argomenti all’ordine del giorno c’erano il rientro di pe.Marco e come ha visto la realtá italiana e della chiesa Reggiano-Guastallese, il nuovo libro de pe.Paolo e le domande che pe.Gabriel ha inviato in vista del Convegno Missionario che si terrá in Reggio Emilia a fine maggio e che parteciparanno anche pe.Riccardo e ir.Cristina. Pe.Marco ci ha detto delle difficoltá economiche che ancora preoccupano il popolo italiano e le prospetive che no sembrano delle piú belle; pe.Paolo ci ha detto che il libro che ha scitto é frutto delle sue lezioni alla facoltá teologica di Feira de Santana sulla filosofia delle religioni, quindi una esposizione di alcune teorie de filosofi che stanno riflettendo sulla religione e quele il suo futuro; poi ci siamo impegnati a dare alcune risposte alle domande um poco coplicate di padre Gabriel. Mettiamo in seguito quello che é emerso e anche le domande per sapere orientarsi meglio.
Domande:
1)
Quale presenza di responsabilità dei cristiani nelle Comunità – Chiesa,
come viene vissuto il Sacerdozio comune nella liturgia, nella comunità, nel
servizio, nella testimonianza e anche nell’annuncio?
2) Quali doni e luci potete offrire al cammino della nostra Chiesa di
Reggio Emilia – Guastalla perché le parrocchie siano “Chiesa missionaria” ?
Come integrare l’esperienza missionaria ad gentes, nel cammino pastorale della
nostra Diocesi? Quale ruolo e contributo possibile dei fidei donum rientrati?
3) Che passi di preghiera, riflessione e prassi suggerite ai Consigli
Pastorali Parrocchiali affinché progettino una pastorale che aiuti ogni
cristiano a sentirsi e vivere la missionarietà del proprio Battesimo?
1) Per dire qualcosa sulla responsabilità dei cristiani nella comunità,
bisogna partire da che tipo di chiesa si stá cercando di vivere qui em Ruy
Barbosa, che in concreto vuole dire una chiesa di CEBs (Comunidades Ecclesiais
de Base), piccole comunità che si incontrano intorno alla Parola de Dio, che
agiscono nella vita sociale, che celebrano la vita nelle situazioni dove
vivono, che si organizzano per la catechesi e per i sacramenti…riassumendo, che
si responsabilizzano e che camminano con i propri doni e i propri limiti;
quindi riconoscere come la responsabilità dei cristiani è necessaria perché le
comunità possano vivere e camminare nella fede. Questo è chiaro che non sempre
avviene, il ché vuol dire che ci sono molte comunità che non riescono a fare
tutto questo, e quindi si ritrovano quando il prete o le suore vanno a visitare
e a celebrare, ma il cammino è in questa direzione. Per quanto riguarda il
sacerdozio comune, e come noi preti esercitiamo questo, ci sembra de poter dire
che la nostra presenza a livello liturgico è legata alla celebrazione e alla
visita delle famiglie, celebrando come comunità, dove il prete si pone a
servizio, rispettando la comunità, che vuol dire, non imporre le cose, aiutare
a capire sempre di più il senso dell’eucaristia, come centro della comunità,
aiutare a comprendere il senso della unità e della partilha, stimolare a una
coerenza di vita e di carità; il sacerdote non è quello che risolve tutti i
problemi, ma è quello che, sedendosi insieme alla comunità, affronta le cose e
cerca di capire come insieme si possono risolvere. Questo è uno sforzo grande,
perché spesso sarebbe molto più pratico fare da solo…
Ci sembra che l’altro
aspetto importante della nostra presenza è quello nell’ambito formativo, cioè dare spazio sempre di piú alla
formazione dei laici e delle comunità e in questo si sta’ spendendo tempo e
energie; se si vuole che le persone si assumano responsabilità, bisogna
formarle, dando strumenti nelle loro mani per potere esercitare la propria
lideranza nella comunità; questo deve avvenire in tutti gli abiti, non solo in
ambito ecclesiale, ma anche a livello sociale, politico economico. Nell’ambito
del servizio e della testimonianza, crediamo che sia fondamentale l’essere
presente nelle situazioni, e in modo particolare nelle situazioni dove le
persone soffrono e sono nella necessità, e qui non manca certamente il
materiale.
2)
Ci sembra di potere dire
che il primo contributo che possiamo dare è quello di aiutarci a
decentralizzare la figura del prete, come colui che dirige e direziona tutto,
per entrare sempre di piú in una logica dove è il congiunto della comunità che
organizza e se responsabilizza per il bene della comunità stessa. Se si crede
in una chiesa sempre più ministeriale, bisogna credere che i ministeri possano
esercitare la propria funzione, nella libertà e nella sua originalità senza
essere pressati o non valorizzati. Mi è piaciuta l’idea del Rettore del
Seminario, don Gabriele, che nella “Libertà” dice:“ La mia impressione
è che le comunità siano ancora troppo clericali e clerico-centrate, ancora poco
strutturate come luoghi di effettiva corresponsabilità e comunione, con tanta
difficoltà riguardo i ministeri; ancora troppi scontri, lamentele, carenze nei
rapporti tra i preti e gli sposi. La parrocchia è effettivamente famiglia di
famiglie? E come mai, per qualcuno, l’aumento del numero dei diaconi è sentito
più come una minaccia che come una gioia? ”
Per quanto
riguarda “ruolo e contributo” dei rientrati, pensiamo che bisogna fare una
riflessione piú ampia, vogliamo dire, che bisognerebbe riconoscere che la
missione è una ricchezza inestimabile per la nostra chiesa, e per questo,
valorizzare il tipo di esperienza che i missionari fanno per arricchire la
chiesa locale. Ci sembra che l’esperienza missionaria dei sacerdoti sia
concepita piú come esperienza personale che non di chiesa; è un tempo che il
prete passa, ma poi bisogna entrare nelle problematiche e nelle situazioni
della chiesa diocesana che ti ha mandato e quello che hai vissuto
sparisce, diventa solo un ricordo,
mas che non incide nella chiesa locale…peggio ainda quando si vive de saudade…
Quindi per noi, è fondamentale che si possano pensare esperienze simili a
quelle che si vivono in missione, sfruttando il modo specifico del come si
lavorava in missione, magari pensando di fare lavorare alcuni preti missionari
in aree della diocesi per aprire nuove strade o piste di azione…ci chiediamo
sempre di piú se a livello di clero diocesano reggiano-guastallese si crede
ancora nella missione, vedendo quanto è complicato trovare persone e preti che si
disponibilizzano per andare…sembra quasi um problema trovare persone, questo
puó dirci qualcosa di importante!!! Ci sembrerebbe importante anche che i
missionari rientrati potessero avere spazi nell’ambito della formazione in
seminario (è chiaro che non tutti possono fare questo, ma per esempio chi ha
insegnato anni nel seminario di Feira potrebbe fare questo…), per aprire um
poco mais orizzonti e idee…si è sempre detto di fare degli scambi nel tempo del
servizio diaconale, mas per adesso sono solo idee, buone mas non realizzate.
Nel prossimo anno ci sará una grande partecipazione per la JMJ, e con certezza
arriveranno anche dei seminaristi e preti, che è molto buono, mas questa è una logica che non
funziona, il grande evento non aiuta, anzi, a volte atrapalha, per quello che è
una realtà diferente.
3) Non vorremmo sembrare banali e semplicisti, mas sarebbe buono che, al di lá
del mese missionario, ci fosse mensilmente nelle comunità una attenzione alle
missioni, che potrebbe essere una piccola preghiera dopo la comunione, che
ricorda i missionari, i luoghi di missione, e pensare di potere dare un tempo
anche ai vari gruppi che si trovano nelle parrocchie; la missione non è un
assunto del gruppo missionario, che adesso non stanno funzionando, mas è l’ansia
della chiesa, che non puó non essere missionaria, rischio il non essere chiesa…
Bisogna fare
proposte concrete e personali alle persone e alle parrocchie, in modo
particolare quelle che sono legate per vari motivi ai missionari e ai laici che
stanno lavorando adesso qui; non funziona dire nella messa che sarebbe bene que
qualche persona o qualche giovane, possano rendersi disponibili per fare una
esperienza o per dare un poco di tempo per questo progetto; bisogna chiedere
direttamente al singolo, specificando quello che ti viene proposto. L’annuncio
in chiesa del tipo:“abbiamo bisogno di volontari…” è passato, o per lo meno non
incide piú, crediamo che sia necessario dire:“ho bisogno di te..” per entrare
in un dialogo piú specifico e personale. Questo vale per chi vuole fare una
esperienza missionaria, ma vale anche per sentirsi missionari in diocesi de
Reggio Emilia-Guastalla.